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Donne scomode. Il prezzo della rivoluzione al femminile

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Eleonora de Fonseca Pimentel

Tante volte abbiamo evidenziato le difficoltà delle donne per farsi strada in settori di stretto predominio maschile, e ancora più arduo fu il cammino nel mondo culturale o artistico in cui mal si sopportavano ingerenze e capacità femminili intellettualmente raffinate. Potremmo citare il triste destino di Ipazia (360 d.C), matematica scienziata, astronoma di Alessandria o della pittrice Artemisia Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1653), o Silvia Plath (USA 1932 – UK 1963) e tante altre donne che non hanno rinnegato se stesse annullandosi.

Meno conosciuta forse è la vicenda di Eleonora de Fonseca Pimentel che visse nella Napoli del XVIII secolo. Di nobili origini – padre spagnolo e madre portoghese – nacque a Roma il 13 gennaio del 1752, poi si trasferì con la famiglia a Napoli.
Donna di grande ingegno, scrittrice, traduttrice di trattati tra Stato e Chiesa, giornalista – fu la prima donna in Europa a fondare un giornale politico “Il Monitore napoletano” e tenne a battesimo “La Repubblica partenopea” per cui compose “l’Inno alla libertà” – e non ultimo si dedicò a studi di filosofia, fisica e diritto pubblico.
Conosceva il portoghese, il francese e l’inglese, a sedici anni scriveva già in latino e greco. Pubblicò sonetti e poesie.
Ammirata per le sue doti da Goethe, Voltaire, Metastasio, – con cui tenne rapporti epistolari fino ai suoi ultimi giorni – Fliangieri, Voltaire con cui strinse rapporti di amicizia e trattenne corrispondenze epistolari.
Fece parte dell’Arcadia con lo pseudonimo di Altidora Esperetusa e frequentò musicisti del tempo e intellettuali. Fondò un suo salotto culturale di cui era abile animatrice.

Non ebbe un matrimonio fortunato sposando il nobile Pasquale Tria de Solis, tenente del reggimento nazionale del Sannio, e in aggiunta le morì il figlio Francesco a soli otto mesi. Non riuscì a portare a termine altre due gravidanze a causa dei maltrattamenti e delle violenze subite continuamente dal marito che, in uno dei contrasti cercò anche di bruciarle i libretti di poesie in cui ella riversava il suo dolore per i figli persi e la sofferenza per la convivenza con lui. Forse anche il dolore per un amore impossibile (Alberto Fortis?)
Caduta in un profondo stato di disperazione si dedicherà alla cura e al soccorso dei bisognosi – vedi l’aiuto ai napoletani imprigionati dalla lava del Vesuvio e il rinvenimento dei cadaveri – ma quando riuscì ad ottenere finalmente il divorzio cambiò radicalmente anche il suo modo di vivere.
Ultimo colpo di coda del marito fu la consegna al giudice, in sede processuale, della corrispondenza della moglie con il geologo veneziano Alberto Fortis ma a tutti gli effetti si trattava solo di scambi intellettuali anche se l’uomo era affranto per le sofferenze a cui la donna era sottoposta nella vita matrimoniale.
A causa delle sopraggiunte difficoltà economiche dovette chiedere un sussidio mensile al re, che le concesse dodici ducati al mese.


Seguirono anni di alterne vicissitudini e le voltò le spalle anche il popolo che fino ad allora aveva aiutato e a nulla valsero i suoi sforzi per far rinascere in loro sentimenti e dignità sopite per la perduta libertà.
Si dedicò anima e corpo nell’approfondire la conoscenza e nella lotta contro i borbonici o per meglio dire per la libertà in senso assoluto: libertà di pensiero, di azione, di vivere secondo necessità, libertà di amare.
Ma una donna depositaria del sapere non era mai ben vista soprattutto quando le esigenze erano legate esclusivamente a quelle materiali vista la povertà dilagante, mentre per i Borboni era una pazza, un’esaltata.
Alla fine del ‘700 il popolo era affamato e non comprendeva i concetti di “repubblica” e “libertà” inneggiati dagli idealisti di cui faceva ormai parte attivamente la Pimentel come giacobina.
Durante il controverso momento storico in cui i francesi stavano per battere in ritirata così scrisse nel Monitore:
“un popolo non si difende mai bene che da se stesso ... perché la libertà non può amarsi a metà, e non produce i suoi miracoli che presso popoli tutti affatto liberi" (ibid., n. 28, 25 fiorile [14maggio]).

Dopo la violenta rivolta del 1799 finita nel sangue con decapitazioni e processi sommari a danno di tanti intellettuali anche Eleonora fu arrestata e condannata al patibolo. La cronaca dell’epoca riporta:

“Il processo fu istruito dal consigliere V. Speciale, il più intransigente dei giudici della Giunta, e il 17 agosto fu pronunziata la sentenza di morte per impiccagione. La F. chiese che la condanna fosse eseguita tramite decapitazione, così come spettava ai nobili del Regno, ma il privilegio le fu rifiutato con il pretesto che il re aveva riconosciuto ai Fonseca solo la nobiltà portoghese. Il 18 fu trasferita nella cappella del castello del Carmine e assistita dai padri della Compagnia dei Bianchi della giustizia. Il pomeriggio del 20 ag. 1799 insieme con altri sette condannati, tra i quali G. Colonna, G. Serra, il vescovo M. Natale, fu condotta sulla piazza del Mercato dove "vestita di bruno, colla gonna stretta alle gambe" (De Nicola, in data 20 agosto), per ultima salì sul patibolo.”

“Si buttò come Camilla nella guerra”, scrisse il suo amico Vincenzo Cuoco.

Ma ciò che la cronaca non specifica, forse per un ultimo atto di rispetto dovutole, sono le modalità dell’impiccagione a cui fu vergognosamente sottoposta, in quanto una donna raramente muore una sola volta e non le viene risparmiata un’umiliazione aggiunta per punire il coraggio di essere andata oltre lo steccato che le era stato imposto.

 

Morirà sul patibolo il 10 agosto del 1799 in Piazza Mercato. Le furono appositamente sfilate le mutandine affinché la gonna larga che indossava, mentre penzolava dalla forza, la esponesse pubblicamente. Eleonora cercherà di coprirsi trattenendo i lembi dell’abito ma non riuscirà a sottrarsi alle offese e agli insulti di quella stessa plebe a cui tanto si era dedicata e che in effetti, si scagliò verbalmente su di lei. 

Quando l’impiccagione fu compiuta una donna le appuntò con misericordia gli orli della gonna con una spilla da balia.

Eleonora de Fonseca Pimentel fu tra i coraggiosi, gli idealisti che gettarono le basi per il movimento del Risorgimento italiano.

Ad oggi, nei Quartieri spagnoli a Napoli le è stato dedicato un enorme murale, realizzato da Leticia Mandragora, sulla facciata dell’ex mercatino di Sant’Anna di Palazzo.

Maria Teresa Infante

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